08/10/09

Inglorius Basterds

"Forse questo è il mio capolavoro", questa la frase conclusiva del nuovo film di Tarantino pronunciata da un ammiccante Brad Pitt che guarda direttamente in macchina e ci consegna così un film di evidente spessore e intensità per il tema trattato e le modalità con cui ha sviscerato questa vicenda di guerra, in cui le citazioni abbondano come sempre, ma il regista dimostra di saperle adottare con sapienza e maestria, al punto da renderle non mero gioco dialettico, ma vera e propria struttura portante di senso e significato.
Se Fatherland immaginava la vittoria del Nazismo durante la Seconda Guerra Mondiale, Inglorious Basterds, quale nuovo esempio di ucronia cinematografica ipotizza una vittoria anticipata e con altri mezzi da parte delle forze alleate.
Tarantino mette in scena una vittoria ideale, la Vittoria che nel profondo tutti noi avremmo voluto e desiderato e che viene immaginata e realizzata da questo incredibile affabulatore, capace di costruire dialoghi e sequenze in cui i colpi di scena non sono mai banali e fini a se stessi, nonostante l'autoreferenzialità sia ormai evidente, come una sorta di organismo filmico che si nutre di se stesso e convoglia tutte le energie negative e la valvola di sfogo all'interno di un cinema, quale altare sacrificale di tutti i cattivi della storia.
Il marchio stesso imposto dal tenente Aldo Raine (Brad Pitt) è una materializzazione visiva e tangibile della possibilità di riconoscimento di coloro che sono riusciti a sfuggire alla morte e a sfuggire alla Giustizia instaurata al fine di punire le colpe dei nazisti; egli impone a suo modo il marchio di Caino, il segno della colpa che nessuno potrà cancellare, neppure attraverso un apparente perdono, sorta di contraltare segnico ai numeri con cui vennero marchiati gli ebrei sopravvissuti ai campi di concentramento.
Film che coinvolge e avvolge lo spettatore attraverso una commistione di generi che non destituisce la Storia del suo significato e dell'orrore che ci ha restituito, ma che produce catarsi visiva necessaria ancora una volta per sopravvivere ad esso e a riflettervi, esorcizzando una delle manifestazioni più significative dell'aberrazione umana.

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